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Famiglia? Una bellezza da conquistare di nuovo

 

foto serata Breganzona, 31 maggio 2010,

Discorso tenuto dal dott. Giorgio Salvadè, in occasione della "Giornata Internazionale della Famiglia" presso l'aula magna delle scuole elementari di Breganzona.

 

Io vado a piedi da casa mia all'ospedale tutte le mattine. Un giorno ho visto una scritta su un marciapiede:"Ti amo mio tutto". Ho pensato tra me: che desiderio di amore sconfinato in questi ragazzi! Un'altro giorno ho visto, scritto accanto: "Tua per sempre". Mi son detto ancora una volta: che forti questi ragazzi! Che voglia di definitività! Però è come se mi avesse lasciato un po’ l'amaro in bocca, se pensiamo realisticamente alla possibilità di tenuta di questo amore e se pensiamo che oggi più del 50 per cento delle famiglie finiscono entro i primi due anni nel divorzio e molti semplicemente si separano. Viene da riflettere, da lì ho ripensato a tutta l'esperienza di trent'anni di matrimonio.

Cos’è che infiamma l'amore umano?

L'innamoramento è qualcosa di particolare, non è una esperienza normale, nell'innamoramento uno si sente veramente trasportato. Un mio grande amico ha detto una volta, in un incontro, qualcosa che non mi ha più abbandonato: l'uomo è caratterizzato dal desiderio di felicità, questo desiderio lo spinge a muoversi. Dice Don Julián Carrón: "Nulla ci risveglia, nulla ci rende tanto consapevoli del desiderio di felicità che ci costituisce, quanto la persona amata. La sua presenza è un bene così grande che ci fa cogliere la profondità e la vera dimensione di questo desiderio: un desiderio infinito".

"Ti amo mio tutto, tua per sempre"

L'impeto iniziale è "per sempre"; ciò che siamo quindi, la natura della nostra persona è rivelata in maniera mai tanto chiara quanto dalla persona amata. Per capire meglio questa dinamica ne cito una un po’ analoga. Cesare Pavese diceva del piacere: "Quello che l’uomo cerca nel piacere è un infinito, e nessuno rinuncerebbe mai alla speranza di raggiungere questo infinito". Ancora Carrón: "Un io e un tu limitati suscitano l’uno nell’altro un desiderio infinito e si scoprono lanciati dal loro amore verso un destino infinito. In questa esperienza si rivela a entrambi la propria vocazione”. I due innamorati sentono la necessità l’uno dell’altro per non restare paralizzati nel proprio limite, senza altra prospettiva che la noia della solitudine. Nell'innamoramento esce ciò di cui siamo fatti. L'innamoramento non è una capacità, è l'altra persona che suscita in noi questa reazione, muove la natura per cui siamo fatti, è da li che scopriamo di essere fatti per la felicità, nessuno lo può negare: ti amo mio tutto, tua per sempre.

Il centro della questione che scatena la passione più acuta ma anche il fallimento più scontato è proprio questo, diceva ancora Carrón: "La donna, con tutti i suoi limiti, desta nell’uomo, anch’egli limitato, un desiderio di pienezza sproporzionato rispetto alla capacità che essa ha di rispondervi". Quando ci si innamora, si investe nel partner una tale speranza in una promessa che non siamo capaci di mantenere: un desiderio infinito non può mai essere compiuto da un essere finito. Ancora Carrón: "Suscita una sete che non è in condizione di estinguere. Suscita una fame che non trova risposta in colei che l’ha destata. Da qui la rabbia, la violenza, che tante volte sorgono fra gli sposi, e la delusione nella quale vanno a cadere, se non comprendono la vera natura del loro rapporto". Se non comprende questa dinamica l'uomo cade nell'errore di fermarsi alla realtà che ha suscitato il desiderio, è come se voi ricevete un mazzo di fiori e vi fermate al fiore, non vi domandate chi ve lo ha regalato.

Lo scopo del matrimonio

Lo scopo del matrimonio è quindi di mettersi alla ricerca, aiutandosi vicendevolmente di questa felicità tanto bramata, cercando assieme e seguendo chi possa essere in grado di illuminare il cammino. Questo innamoramento ha la possibilità di continuare se uno è fedele a quello che gli ha suscitato: il desiderio di felicità. Questo è il matrimonio: una volta io e te ci siamo ricordati potentemente cosa è la felicità, adesso dobbiamo aiutarci a cercarla perché io e te non ce la possiamo dare. Se noi ci fermiamo e ci diciamo: "tu hai suscitato in me questo amore quindi adesso devi darmelo", questa evidente incapacità di rispondere al desiderio suscitato causerà un progressivo consumarsi dentro una pretesa vicendevole.

La pretesa tua su me e mia su te è la tomba di moltissimi rapporti: "Non sei più come eri i primi giorni, il tuo carattere è cambiato". Non è il carattere che cambia, che fa sfiorire l’amore, ma aver confuso l'oggetto con il segno, l'amore per quella donna era segno di altro, era segno del bisogno che tu hai di felicità, e quella donna può soltanto essere solo il tramite che ti aiuta a continuare a cercarlo, ma non è lei che te lo può dare. Cosa suscita tale commozione, tale turbamento? Questo è il punto che si impone a tutti e propone un nuovo inizio, abbiamo scritto nel titolo: "Una bellezza da conquistare di nuovo". Da che cosa si può ripartire?

Riprendere quell'impeto segno di altro

Il poeta tedesco Rainer Maria Rilke diceva: "Questo è il paradosso dell’amore fra l’uomo e la donna: due infiniti si incontrano con due limiti; due bisogni infiniti di essere amati si incontrano con due fragili e limitate capacità di amare. Solo nell’orizzonte di un amore più grande non si consumano nella pretesa e non si rassegnano, ma camminano insieme verso una pienezza della quale l’altro è segno". Evidentemente solo un infinto può suscitare un desiderio di infinito, solo un amore infinito può suscitare un desiderio di amore infinito.

La fede cristiana apre l'uomo al significato di questo desiderio, l'uomo nasce con dentro di sé quel desiderio di infinito messogli dall'amore infinito di Dio per lui, Dio ha marcato l'uomo attraverso il senso religioso con il desiderio di Lui, per questo nel sacramento del matrimonio Dio viene ad abitare nel rapporto tra i due sposi (questa é la ragione ultima della indissolubilità del matrimonio cristiano), questo amore non è una cosa assurda, ma una vera scommessa se poi i due sposi permettono che Dio abiti realmente tra di loro.

Dio non è un astratto, ha voluto calarsi nel mondo con Suo Figlio per dare un aiuto all'uomo, aiuto che continua oggi nella Chiesa. La compagnia umana che nella Chiesa si riconosce, è la presenza di Dio che aiuta l'uomo sulla terra, cosi è per chi crede, ma anche chi non crede deve trarre delle conclusioni, l’occasione è di riprendere quell'impeto segno di altro che liberi la coppia dalle pretese vicendevoli, e rifondi l'unità nel desiderio di capire da dove viene e dove porta quel desiderio di felicità provato un giorno. Non è vero che è finito, io sono fatto per questo, cosi si può imparare che nel matrimonio e nella vita tutto ci è dato e nulla ci appartiene, dai figli, ai beni, alla salute: tutte queste cose che ci sono date, non sono fine a se stesse ma occasione per ricominciare da quel sentimento profondo sorto proprio dall'incontro misterioso nell’amore "ti amo mio tutto, tua per sempre!"